Il drago visconteo

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  1. Anairam
     
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    Il Drago Visconteo

    Nel suo "De Magnalibus urbis Mediolani" Bonvesin della Riva, cronista milanese vissuto nel XIII secolo scriveva: "(...) uno che abbia il nobilissimo sangue dei Visconti, che sia il più degno, riceve in dono una bandiera con una vipera celeste che inghiotte un Saraceno rosso; detto vessillo procede innanzi a tutti e il nostro esercito non s'accampa se prima non vede la vipera sventolare".
    Intorno al Drago che campeggia sullo stemma visconteo, fiorirono durante il Medioevo molte leggende. Secondo la più nota tra queste, alla morte di S. Ambrogio, patrono della città, comparve nel cielo di Milano un luminoso Drago che tiranneggiava la popolazione esigendo vittime umane per placare la propria sete di sangue. Proprio mentre la bestia stava per avventarsi su di un bambino offertogli in sacrificio, fu colpito a morte ed ucciso da Uberto Visconti che decise, per dare maggiore lustro al suo nome, di adottare l'emblema del Drago come suo stemma.
    Le implicazioni simboliche si rilevano sin troppo ovvie: l'apparizione del Drago poco dopo la morte di un campione della Cristianità, allude ad una resipiscenza degli antichi culti, oppure, cosa che risulta per altro più attendibile dal punto di vista storico, ad un rafforzamento dell'eresia ariana, particolarmente diffusa a Milano in quel periodo.
    L'intervento di Uberto Visconti segna il definitivo trionfo della Fede. Va detto che, secondo altre fonti, il serpe visconteo è lo stesso che, come si legge nel libro dell'Esodo (4, 18), Mosè innalzò al cielo in difesa del suo popolo.
    La leggenda vuole che quello stesso serpe fu poi portato a Milano dal Vescovo Ariulfo, che lo ricevette in dono durante un ambasceria a Costantinopoli. Detta reliquia, conservata ancor oggi nella Basilica di S. Ambrogio in Ciel d'Oro, fu poi adottata come stemma dai Lombardi che presero parte alla prima Crociata.
    E' arduo stabilire quale delle due versioni sia più attendibile dal punto di vista filologico-letterario, tuttavia è interessante notare come la seconda, pur essendo quella seguita da Bonvesin della Riva che parla appunto di un saraceno rosso, non sembra trovare altri riscontri nelle fonti orali.
    E' possibile quindi pensare che essa sia il frutto di una lettura tarda della vicenda, legata a fatti contingenti.

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