Filastrocche sul Carnevale

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    Filastrocche e poesie sul Carnevale


    "Filastrocca di Carnevale"
    (di Gianni Rodàri)
    Carnevale vecchio e pazzo
    s'è venduto il materasso
    per comprare pane e vino
    tarallucci e cotechino.
    E mangiando a crepapelle
    una montagna di frittelle
    gli è cresciuto un gran pancione
    che somiglia ad un pallone.
    Beve e beve e all'improvviso
    gli diventa rosso il viso,
    poi gli scoppia anche la pancia
    mentre ancora mangia, mangia…
    Così muore Carnevale
    e gli fanno il funerale,
    dalla polvere era nato
    ed in polvere è tornato.

    * * *

    "Carnevale"
    (di Giosué Carducci)
    (Voce dai palazzi)
    E tu se d'echeggianti
    Valli o borea, dal grembo, o errando in selva
    Di pin canora, o stretto in chiostri orrendi,
    Voce d`umani pianti
    E sibilo di tibie e de la belva
    Ferita il rugghio in mille suoni rendi,
    Borea mi piaci. E te, solingo verno,
    Là su quell'alpe volentieri io scerno.
    Una caligin bianca
    Empie l'aer dorrnente, e si confonde
    Co 'l pìan nevato a l'orizzonte estremo.
    Tenue rosseggia e stanca
    Del sol la ruota. e tra i vapor s'asconde,
    Com'occhio uman di sue palpebre scemo.
    E non augel, non aura in tra le piante,
    Non canto di fanciulla o viandante;
    Ma il cigolar de' rami
    Sotto il peso ineguale affaticati
    E del gel che si fende il suono arguto.
    Canti Arcadia le richiami
    Zefiro e sua dolce famiglia a i prati
    Me questo di natura altiero e muto
    Orror più giova. Deh risveglia, Eurilla,
    Nel sopito carbon lieta favilla;
    Ed in me la serena
    Faccia converti e 'l lampeggiar del riso
    Che primavera ove si volga adduce.
    A la sonante scena
    Poi ne attendono i palchi, ove dal viso
    De le accolte bellezze ardore e luce
    E da le chiome e da gl'inserti fiori
    Spira l'april che rinnovella odori.
    (Voce dai tuguri )
    Oh se co 'l vivo sangue
    Del mio cor ristorare io vi potessi,
    Gelide membra del figliuolo mie!
    Ma inerte il cor mi langue,
    E irrigiditi cadono gli amplessi,
    E sordo l'uomo ed è tropp'alto Iddio.
    O poverello mio, la lacrimosa
    Gota a la gota di tua madre posa.
    Non de la madre al seno
    Il tuo fratel posò: lenta, su 'l varco
    Presse gli estremi aliti suoi la neve.
    Da l'opra dura, pieno
    Il dì, seguiva sotto iniquo carco
    I crudeli signor co 'l passo breve;
    E co' l'uom congiurava a fargli guerra
    L'aere implacato e la difficil terra.
    Il nevischio battea
    Per i laceri panni il faticoso;
    E cadde, e sanguinando invan risorse.
    La fame ahi gli emungea
    L'ultime forze, e al fin su 'l doloroso
    Passo lo vinse; e pia la morte accorse:
    Poi cadavero informe e dissepolto
    Lo ritornar sotto il materno volto.
    Ahimè, con miglior legge
    Ripara a schermo da la gelid'aura
    Aquila in rupe e belva antica in lustre,
    Ed un covil protegge
    Tepido i sonni ed il vigor restaura
    A i can satolli entro il palagio illustre
    Qui presso, dove de l'amor più forte,
    Figlio de l'uom, te mena il gelo a morte.
    (Voce dalle sale)
    Mescete, or via mescete
    La vendemmia che il Ren vecchia conserva
    Di sue cento castella incoronato.
    Gorgogli con le liete
    Spume a lo sguardo e giù nel sen ci ferva
    Quel che il sol ne' tuoi colli ha maturato
    Cui ben Giovanna a l'Anglo un dì contese,
    di vini e d'eroi Francia cortese.
    Poi ne rapisca in giro
    La turbinosa danza. Oh di pompose
    E bionde e nere chiome ondeggiamenti,
    Oh infocato respiro
    Che al tuo si mesce, oh disvelate rose,
    Oh accorti a fulminare occhi fuggenti;
    Mentre per mille suoni a tempra insieme
    L'acuta voluttà sospira e geme!
    Dolce sfiorar co 'l labro
    Le accese guance, e stringer mano a mano
    E del seno su 'l sen le vive nevi,
    E di sua sorte fabro
    Ne l'orecchio deporre il caro arcano
    De le sorrise parolette brevi,
    E meditar cingendo il fianco a lei
    De l'espugnata forma indi i trofei.
    Che se di nostre feste
    Scorra su l'util plebe il beneficio
    E civil carità prenda augumento;
    Mercé nostra, il celeste,
    Che bene e mal partì, saldo giudicio
    Ha di bella pietade alleggiamento.
    Noi, del nostro gioir, beata prole,
    Rallegriam l'universo a par del sole.
    (Voce dalle soffitte)
    Mancava il pan, mancava
    L'opra sottile a reggere la vita;
    E al freddo focolar sedea tremando,
    E muta mi guardava,
    Pallida mi guardava e sbigottita,
    La madre: e un lungo giorno iva passando
    Che perseguiami quel silenzio e 'l guardo,
    Quand'io lassa discesi a passo tardo.
    Piovea per la brumale
    Nebbia lividi raggi alta la luna
    In su 'l trivio lfangoso, e dispariva
    Dietro le nubi: tale
    Di giovinezza il lume in su la bruna
    Mia vita mesto fra i dolor fuggiva.
    E la man tesi: e vidimi in conspetto
    Osceni ghigni; e in cor mi scese un detto
    Immane. Ahi, ma più immane
    Me, o superbi, premea la lunga fame
    E il guardo e il viso de la madre antica.
    Tornai: recai del pane:
    Ma tacean del digiuno in me le brame,
    Ma sollevare i gravi occhi a fatica
    Sostenni; o madre, e nel tuo sen la fronte
    Ascosi e del segreto animo l'onte.
    Addio, d'un santo amore
    Fantasie lacrimate, e voi compagne
    Di questa infelicissima fanciulla!
    A voi rida il candore
    Del vel che la pia madre adorna e piagne,
    E 'l pensier ch'erra la studio d'una culla.
    Io derelitta io scompagnata seguo
    Pur la traccia de l'ombre e mi dileguo.
    (Voce di sotterra)
    Taci, o fanciulla mesta;
    Taci, o dolente madre, e l'affamato
    Pargol raccheta ne la notte bruna.
    Fiammeggia, ecco, la festa
    Da' vetri del palagio, ove il beato
    De la libera patria ordin s'aduna,
    E magistrati e militi tra' suoni
    E dotti ed usurier mesce e baroni.
    De' tuoi begli anni il fiore,
    O fanciulla, intristì, chiedendo in vano
    L'aer e l'amor ch'ogni animal desia;
    Ma ride in quel bagliore
    Di sete e d'òr, che con la bianca mano
    La marchesa raccoglie e va giulìa
    In danza. Or pianga e aspetti pur, che importa?,
    La prostituzione a la tua porta.
    Quel che ne la pupilla
    Del figliuol tuo gelò supremo pianto
    Che tu non rasciugasti, o madre trista,
    Gemma s'è fatto e brilla
    Tra 'l nero crin de la banchiera. E intanto
    Il leggiadro e soave economista
    A lei che ride con la rosea bocca
    Sentenze e baci dissertando scocca.
    Gioite, trionfate,
    O felici, o potenti, o larve! E quando
    Il sol nuovo la plebe a l'opre caccia,
    Uscite e dispiegate,
    Pur la mal digerita orgia ruttando
    Le vostre pompe a' suoi digiuni in faccia;
    E non sognate il dì ch'a l'auree porte
    Batta la fame in compagnia di morte.

    * * *

    "Girotondo delle mascherine"
    Girotondo, girotondo,
    noi giriamo tutto il mondo.
    C'è Gianduia e Meneghino,
    Pulcinella e Arlecchino.
    C'è Brighella e Pantalone,
    Meo Patacca e Balanzone,
    Beppe Nappa siciliano,
    Stenterello che è toscano...

    Girotondo, girotondo,
    noi viaggiam per tutto il mondo,
    e con noi portiam la gioia
    che è nemica della noia!

    * * *

    "Pranzo e Cena"
    (di Gianni Rodàri)
    Pulcinella e Arlecchino
    cenavano insieme in un
    piattino e se nel piatto
    c'era qualcosa
    chissà che cena
    appetitosa.
    Arlecchino e Pulcinella
    bevevano insieme in una
    scodella e se la scodella
    vuota
    non era
    chissà che sbornia
    quella sera.

    * * *

    "Viva i coriandoli di Carnevale"
    (di Gianni Rodàri)
    Viva i coriandoli di Carnevale,
    bombe di carta che non fan male!
    Van per le strade in gaia compagnia
    i guerrieri dell'allegria:
    si sparano in faccia risate
    scacciapensieri,
    si fanno prigionieri
    con le stelle filanti colorate.
    Non servono infermieri,
    perchè i feriti guariscono
    con una caramella.
    Guida l'assalto, a passo di tarantella,
    il generale in capo Pulcinella.
    Cessata la battaglia, tutti a nanna.
    Sul guanciale
    spicca come una medaglia
    un coriandolo di Carnevale.

    * * *

    "Il gioco dei se..."
    (di Gianni Rodàri)
    Se comandasse Arlecchino
    il cielo sai come lo vuole?
    A toppe di cento colori
    cucite con un raggio di sole.

    Se Gianduia diventasse
    ministro dello Stato,
    farebbe le case di zucchero
    con le porte di cioccolato.

    Se comandasse Pulcinella
    la legge sarebbe questa:
    a chi ha brutti pensieri
    sia data una nuova testa.

    * * *

    "Il vestito di Arlecchino"
    (di Gianni Rodàri)
    Per fare un vestito ad Arlecchino
    ci mise una toppa Meneghino,
    ne mise un'altra Pulcinella,
    una Gianduia, una Brighella.

    Pantalone, vecchio pidocchio,
    ci mise uno strappo sul ginocchio,
    e Stenterello, largo di mano
    qualche macchia di vino toscano.

    Colombina, che lo cucì,
    fece un vestito stretto così.
    Arlecchino lo mise lo stesso
    ma ci stava un tantino perplesso.

    Disse allora Balanzone,
    bolognese dottorone :
    "Ti assicuro e te lo giuro,
    ti andrà bene il mese venturo
    se osserverai la mia ricetta:
    un giorno digiuno e l'altro...bolletta!"

    * * *

    "Carnevale"
    (di Gianni Rodàri)
    Una volta per errore
    un corridore ciclista
    vinse una toppa
    invece di una tappa:
    Bel premio per un vincitore.
    Alla vista di quello straccio
    lui corre alla giuria:
    Che cosa me ne faccio?
    Una toppa è utilissima
    gli fanno osservare,
    puoi metterla sui gomiti,
    sui ginocchi, dove ti pare.
    Se poi vinci altre toppe
    e le cuci per benino
    avrai per Carnevale
    un costume da Arlecchino.
    .

    * * *

    "Una volta per errore"
    (di Gianni Rodàri)
    Finalmente è Carnevale,
    ogni scherzo adesso vale;
    sono giorni d'allegria,
    tutto è gioia e simpatia

    C'è letizia dentro i cuori,
    tutti i bimbi vanno fuori,
    delle maschere è la festa
    Arlecchino sempre in testa.

    Più degli altri poverello,
    ma il vestito suo è il più bello,
    di colori e luce pieno
    sembra sia l'arcobaleno.

    E' da sempre squattrinato,
    ma in amore fortunato,
    ama quella mascherina
    che si chiama Colombina.

    E felice lui saltella
    abbracciato alla sua stella,
    è l'amico dei bambini
    al suo cuor sempre vicini.

    * * *

    "Peppe Nappa"
    Nel clamor del Carnevale
    svelta la tristezza scappa
    ed è cosa assai normale
    che arrivi Peppe Nappa.

    Col vestito celestino,
    corre e gioca a girotondo,
    sembra sempre ragazzino
    mette sottosopra il mondo.

    Porta a spasso un gran cappello
    su un testone portentoso,
    lui si crede molto bello
    perch'è proprio vanitoso!

    Dicon sia tonto un poco
    ma la cosa non lo turba,
    la sua vita è solo gioco
    e la mente forse furba.

    Son Peppe Nappa siciliano,
    mascherina un pò da niente,
    ma ho il cuore nella mano
    e il sorriso do alla gente.

    * * *

    "Colombina"
    Colombina, la messaggera,
    cerca cerca la Primavera,
    "La più bella che ci sia
    me la voglio portare via!"

    Ecco qui che l'ha trovata,
    tutta bella incipriata,
    con le scarpe di cioccolata,
    Colombina vuol ballar!

    Alla sera di Carnevale
    Colombina si fece male
    e si fece accompagnare
    da un vecchio Barbablù
    che saresti proprio tu!!!



    Edited by Millam - 21/3/2009, 05:14
     
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