"Iridina e il mare" ovvero: "Noi e gli altri"

di Caterina Famularo

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    C'era una volta un raggio di sole che era innamorato di una goccia di pioggia. Un pomeriggio d'estate il cielo si oscurò e il sole fu costretto a rimanere nascosto dietro una nuvola. La pioggia cominciò a scendere, goccia dopo goccia.
    Il raggio di sole, riconoscendo la goccia di cui era innamorato, decise di uscire allo scoperto e di manifestarle il suo amore.
    Fu così che la luce e la goccia si abbracciarono e dal loro incontro nacque un meraviglioso arcobaleno chiamato Iridina.

    Tutte le creature ammiravano quel fascio di strisce colorate e si complimentavano con il cielo che, avendola creata, non poteva essere obiettivo con lei e non poteva giudicare la sua bellezza.
    Anche Iridina era curiosa di vedersi e di conoscere la propria immagine, ma non aveva uno specchio e non sapeva come guardarsi. Non vedeva i suoi sette colori così come si mostravano nel cielo, uno accanto all'altro, e non riusciva a capire di che colore fosse veramente la sua anima. I sette colori si tenevano per mano, ma spesso litigavano tra di loro per cercare di convincere Iridina: "Sono io che ti rendo così bella, Iridina - esclamò l'indaco - quindi la tua anima deve per forza avere il mio colore." "No, ti sbagli, sono io che coloro la tua immagine." - ribadì l'arancione.
    "Ma cosa state dicendo - gridò il rosso - sono io il colore più vivace!"
    E così gli altri colori.

    Un giorno Iridina si stancò e volle sapere con certezza qual era il colore della sua anima.
    Lei amava l'indaco ed era convinta che la sua anima fosse di quel colore, ma senza uno specchio non poteva averne la certezza.
    Allora, decise di andare in giro per il mondo alla ricerca della sua vera identità, finché un giorno incontrò un'onda del mare: "Iridina, cosa cerchi?".
    Rispose l'arcobaleno: "Non riesco a capire chi sono e come sono. Non ho uno specchio e non posso vedermi".
    Allora il mare rispose: "A cosa ti serve uno specchio? Non hai già deciso tu chi sei? Anche se tu avessi uno specchio vedresti solo la parte di te che vuoi vedere, ma il resto rimarrebbe nascosto ai tuoi occhi. Così se sei convinta che il colore della tua anima sia l'indaco, vedrai la tua immagine di quel colore, se invece sei convinta che la tua anima sia arancione la vedrai arancione."
    "Come posso fare, allora, per capire come sono veramente?" - disse Iridina, sconsolata.
    Il mare le suggerì: "Noi siamo lo specchio degli altri e gli altri sono il nostro specchio. L'importante è guardare e lasciarsi guardare. E' da questo sguardo reciproco che ognuno di noi si arricchisce. Lasciati guardare e vedrai come ti vedono gli altri."
    Iridina domandò: "E se mi accorgessi che la mia anima non ha il colore indaco? O se scoprissi che non ha un solo colore? E se non mi piacessi così come veramente sono?"
    Il mare la rassicurò: "Non bisogna mai temere di mostrarsi agli altri così come siamo, con le nostre debolezze e le nostre paure. Spècchiati pure negli altri e parla e chiedi, ma lasciali anche parlare e rispondere. Accetta o rifiuta quello che hanno da dirti, ma lascia che esprimano le loro opinioni. Incòntrati o scòntrati se è necessario, ma rispetta sempre i pensieri che non sono uguali ai tuoi."

    Il mare la mise alla prova e la invitò a specchiarsi in lui.
    Iridina si specchiò nell'acqua e rimase delusa. L'onda era in movimento e l'immagine dell'arcobaleno riflessa in quell'acqua appariva deformata.
    "No, non sono così." - si allarmò Iridina.
    Allora il mare la rimproverò: "Non ti ho forse detto di accettare e rispettare i punti di vista degli altri? E poi, io non ho affermato che sei così. Ti ho fatto vedere come tu appari ai miei occhi. Io sono in movimento e vedo la tua immagine distorta. Se ti specchi in me quando non sono agitato ti vedrò diversamente. Controlla pure!"

    Allora il mare chiese al vento di calmarsi per un istante.
    Iridina si specchiò di nuovo nell'acqua e per riflesso vide meglio se stessa: al posto dell'immagine deformata vide un meraviglioso arcobaleno! Scoprì così che la sua anima aveva sette colori diversi.


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    A volte, bisogna avere il coraggio di specchiarsi negli altri con il rischio - o la piacevole sorpresa - di scoprire colori e forme che non avevamo visto prima o che non sapevamo di avere.
     
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    CITAZIONE
    Non bisogna mai temere di mostrarsi agli altri così come siamo, con le nostre debolezze e le nostre paure. Spècchiati pure negli altri e parla e chiedi, ma lasciali anche parlare e rispondere. Accetta o rifiuta quello che hanno da dirti, ma lascia che esprimano le loro opinioni. Incòntrati o scòntrati se è necessario, ma rispetta sempre i pensieri che non sono uguali ai tuoi.

    Un insegnamento preziosissimo, questo.
    Talvolta crediamo basti un solo paio d'occhi per svelarci interamente: ci convinciamo di essere in un dato modo e di non poter essere altrimenti, dimenticando che ogni sguardo filtra la realtà dal proprio punto di vista e che essi, tutti, sono validi nella stessa misura. Non prestiamo fede alle opinioni degli altri sul nostro conto, quando non le condividiamo, con la (labile) motivazione secondo cui non potremmo apparire diversi da quel che noi stessi vorremmo e ci impegniamo di sembrare.
    Per questo, magari, siamo convinti di "avere l'anima solo di un colore", per restare all'interno della metafora, e neghiamo l'idea di poter essere depositari di qualsiasi altra tonalità, con il conseguente rischio di conoscerci solo parzialmente.
    Il confronto con gli altri, i dibattiti e le critiche, quando sono costruttivi, sono sempre funzionali, invece, a socchiudere porte prima mai aperte in noi: sta a noi, poi, decidere se trovare l'umiltà e la volontà di andare fino in fondo, decidere se valga la pena scorgere addirittura arcobaleni nascosti, ossia aspetti della nostra personalità ai quali non avevamo ancora fatto caso, o che ci sembravano secondari, o differenti.
    A tale proposito, mi è venuto in mente l'incipit di "Uno, nessuno, centomila", romanzo di Luigi Pirandello, il quale recita:

    -Che fai?- mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
    -Niente,- le risposi,- mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino. Mia moglie sorrise e disse:
    -Credevo ti guardassi da che parte ti pende.
    Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato una coda:
    -Mi pende? A me? Il naso?
    E mia moglie placidamente:
    -Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.
    Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altri parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo.


    Ecco. Anche attraverso un "comune" episodio tratto dalla quotidianità, Pirandello ha colto nel segno: in alcuni casi è sufficiente ascoltare quel che gli altri hanno da dirci, lasciarli parlare di noi - come già si sosteneva nella leggenda di Iridina - per ri-scoprirci, per ri-conoscerci o, più semplicemente, per osservarci con occhi diversi. Sempre nostri, in fondo, ma diversi.
     
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1 replies since 6/9/2011, 00:28   177 views
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